La lunga strada di Ruslan per uscire dall’inferno: ecco cos’è Casa sulla Roccia

Ospite della comunità, l’ho incontrato in occasione del trentennale della Casa di solidarietà, abbiamo parlato di dipendenza da sostanze stupefacenti, arresti, casa famiglia, fallimenti e mancanze, fino al cambiamento e ad una nuova vita che non vede l’ora di cominciare

Varcato il cancello di Villa Dora, comunità Terapeutica del Centro di Solidarietà “La Casa Sulla Roccia”, ci sono le piante di fragole ancora cariche di frutti. Mi è sembrato bello e sorprendente, al clima caldo insolito di questo autunno non ho voluto pensare. Invece dentro quei colori sotto la serra ci ho visto il simbolo di una vita che non si ferma, che resiste nonostante il suo destino o la stagione.

Che si difende e si oppone, come ha fatto Ruslan, giovane ucraino, ospite salvo della comunità. L’ho incontrato in occasione del trentennale della Casa sulla Roccia, doveva essere dietro il tavolo dei relatori ma prima, grazie all’aiuto di Franco Lo Priore che della comunità è il responsabile, si è fermato a parlare anche con me, quindi era doppiamente agitato.

Mi ha raccontato una storia difficile, poco sana e troppo dolorosa per un giovane uomo, eppure l’ha ricostruita per intero, a partire dai suoi due anni, quando probabilmente è iniziato tutto: «Stavo bene, andavo all’asilo, vivevo in una casa normalissima con due genitori affettuosi. Fino alla decisione di mia madre di separarsi da mio padre, che aveva comunque delle dipendenze, diventava spesso violento. Lei decise di partire per l’Italia lasciandomi da solo in Ucraina, con mio padre. Non l’ho mai perdonata, eppure crescendo ho iniziato a stare in armonia anche con mio padre, nonostante mia madre mi mancasse molto. Quando avevo sei anni lei è tornata a riprendermi per portarmi nella sua nuova vita. Qui credo di aver subito una grave perdita, oltre a risentire ancora dell’abbandono da piccolo, è iniziato il mio silenzio, la mia lunga fase di chiusura e di impossibilità a relazionarmi con quella madre che era andata via senza di me».

Poi Ruzlan cresce, ma con il peso di una mancanza, delle parole non dette, dell’amore non dimostrato: «Sono stato un bambino disobbediente, indisciplinato e irrispettoso nei suoi confronti, non riuscivo a dirle molte cose, provavo disprezzo per quello che mi aveva fatto. Non andavo a scuola, se entravo in classe non riuscivo a contenermi e comunque tutto quello che cercavano di insegnarmi era inutile, perché non mi interessava. Mia madre ad un certo punto di questa nostra vita insieme, ha onosciuto un uomo, Francesco, che ancora oggi è il suo compagno. Dalla relazione sono nati due fratelli, in quel momento erano i miei peggiori nemici, perché avevano attenzioni e cure mentre a me erano state negate, mi sentivo diverso. Andando avanti è diventato tutto sempre più negativo: ho intrecciato relazioni poco pulite e frequentato posti non sani, andando a scuola ho iniziato anche a fare uso di sostanze stupefacenti. Erano la mia soluzione al dolore e alla mancanza di un rapporto con mia madre e con il suo compagno: a diciassette anni sono entrato per la prima volta in comunità, ad Eboli».

Comunità ma ancora la stessa vita, gli stessi amici sbagliati, droga, spaccio, arresti e casa famiglia: «Non avevo niente, non andavo a scuola, non vedevo crescere i miei fratelli, non avevo una madre e sentivo nostalgia di mio padre in Ucraina ma non lo potevo dire. A undici anni nella mia vita c’erano soltanto assistenti sociali e giudici, sono entrato a quell’età in casa famiglia e ci sono rimasto fino a sedici anni, continuando a fare la stessa vita e ad assumere droghe. Non ci volevo andare, ho iniziato la terapia con il metadone, ci sono rimasto un mese ma non ero davvero disposto a cambiare, quegli eccessi mi piacevano e mi aiutavano a non affrontare le difficoltà. Due arresti anche, per non chiedere soldi e non rivolgermi in nessun modo a mia madre ho iniziato a spacciare, mi hanno arrestato la terza volta e ho lasciato la comunità, sono tornato a casa ma la situazione sembrava peggiore perché io prendevo il metadone e stavo male, c’erano sempre i carabinieri in casa e i miei fratelli erano piccoli, non era più gestibile. Mi madre, insieme agli assistenti sociali, mi ha indirizzato verso una scelta più giusta e sono entrato qui, a “La casa sulla Roccia” prima in accoglienza, poi ho iniziato a scalare la terapia, a togliere il metadone e da lucido ho iniziato a sentire i sensi di colpa e a vedere chiaramente tutti gli errori commessi».

Ruzlan oggi ha diciannove anni, da quindici mesi è stato accolto a Villa Dora, le idee sono più chiare, come i suoi occhi: «Voglio essere un buon esempio per i miei fratelli, voglio vedere mia madre felice, voglio riuscire a chiamare papà anche Francesco che si è sempre occupato di me, non ho mai dimostrato sentimenti per nessuno, ma adesso mi sento migliore, riesco a raggiungere degli obiettivi, faccio una vita più regolare. Sono motivato ad andare avanti, anche grazie ai lavori terapeutici fatti qui: ho avuto un incontro speciale con mia madre in cui le ho detto tutto, le ho raccontato la storia dal mio punto di vista, è stato un dolore immenso, avevo paura delle sue reazioni, non volevo farle del male, ma sono stato in grado di affrontarlo, conquistando un rapporto pulito e onesto, senza silenzi, con più libertà, siamo madre e figlio. Adesso sto bene, sono ad una fase finale del percorso, il proposito è continuare a studiare, diventare qualcuno, trovare un lavoro e crearmi una famiglia, vivere seguendo dei valori di responsabilità e rispetto, come non è mai stato fin ora, fortificandomi. Ce la posso fare, ho superato difficoltà che mai avrei immaginato in questo anno e mezzo, devo ringraziare questa comunità».

 

FONTE : http://www.orticalab.it/La-lunga-strada-di-Ruzlan-per